Mentre dentro l’aula di tribunale Sean Combs, conosciuto come Puff Daddy e Diddy per gli amici, ieri ha cominciato la sua battaglia legale, fuori continuano a fioccare storie, a circolare leggende e sciogliersi nodi. Uno di quelli più attenzionati riguarda certamente tutte le altre star dello showbiz musicale e cinematografico americano che potrebbero rimanere implicate in quello che è stato definito il #metoo dell’industria discografica. Sotto i riflettori, forse un pò più degli altri, è sicuramente Justin Bieber. Quando il vaso di Pandora con dentro tutti i segreti dei White Party di Puff Daddy si sono liberati sul web è tornato virale il video, postato nella pagina YouTube ufficiale della star del pop, intitolato 48h con Puff Daddy. Una fonte vicina a Bieber ha rivelato che il ragazzo avrebbe vissuto un mese da incubo dal giorno dell’arresto di Combs, forse perché immaginava che dettagli relativi alla loro amicizia sarebbero potuti saltare fuori. «L’ultima cosa che Justin vuole fare – dichiara la fonte a In Touch Weekly – è rivivere o anche solo discutere della sua complicata amicizia con Diddy. Ma sta finalmente rompendo il silenzio con i suoi amici sulla sua esperienza da incubo e l’inferno privato che gli ha causato». Un silenzio che forse si è già rotto nel momento in cui quei vecchi video di un Justin Bieber a inizio carriera, appena sedicenne, sono tornati ad essere stracliccati. In uno Puff Daddy si lamenta con il giovane amico di essere sparito: «Che succede amico, tutto bene? Suoni nelle arene e cominci a comportarti in modo diverso, eh? Non mi hai più chiamato». Un giovanissimo Justin Bieber risponde a monosillabi, evidentemente imbarazzato, che sapeva che lui lo aveva molto cercato ma che non aveva il suo numero per richiamarlo. In un altro, ospiti entrambi del Jimmy Kimmel Live! Diddy, scherzando durante il talk, intima a Bieber, anche allora 16enne, di non rivelare mai cosa succede quando si ritrovano a casa sua. Per non parlare poi degli innumerevoli video girati durante le famigerate feste, oggi messe sotto la lente d’ingrandimento dalle autorità giudiziarie americane, e dei video montati ad arte, come quello, diventato a sua volta virale, di un brano, I lost myself at Diddy Party, realizzato tramite AI.
La prima udienza
Durante la prima udienza del processo a Sean Combs, la difesa del producer, affidata a Alexandra Shapiro e Anthony Ricco, per prima cosa ha presentato una lettera nella quale insisteva, per la terza volta ufficialmente, sulla scarcerazione su cauzione del rapper: «Sean Combs chiede che questa Corte ordini il suo rilascio su cauzione appropriata e ordini il suo rilascio immediato in attesa della decisione di questo ricorso ai sensi della norma federale di procedura d’appello 9(a)(3)», «Il signor Combs – ricordano gli avvocati nell’appello – è presunto innocente. Si è recato a New York per arrendersi perché sapeva che sarebbe stato incriminato». E aggiungono: «Ha preso misure straordinarie per dimostrare che intendeva affrontare e contestare le accuse, non fuggire. Ha presentato un pacchetto di cauzione che gli avrebbe chiaramente impedito di rappresentare un pericolo per chiunque o di contattare testimoni». Il rapper ha offerto di versare nelle casse del tribunale ben 50 milioni di dollari, stessa cifra due volte rifiutata da due diversi giudici. In più sarebbe disposto a sostenere il monitoraggio dei movimenti tramite classica cavigliera con GPS e ristrettissima lista di visitatori, eventualmente nessuno di sesso femminile. A garanzia della buona volontà ha anche messo anche sul tavolo le chiavi del suo aereo privato, affinché non ci siano dubbi né sul pagamento della cifra, né tantomeno sull’intenzione di fuggire, cosa che, avendo a disposizione una colossale quantità di denaro, le autorità temano possa fare. Secondo la difesa Puff Daddy, che ieri si è nuovamente e ufficialmente dichiarato innocente, non sarebbe un pericolo per nessuno e negargli la possibilità di attendere il processo (richiesto per la primavera) andrebbe contro il Bail Reform Act, una legge del 1984 che regola la libertà su cauzione per i prigionieri in attesa di processo, e secondo la quale, sempre parere legale lato Diddy, non ci sarebbero gli estremi per costringere l’uomo alla detenzione nel durissimo Metropolitan Detention Center di Brooklyn a New York.
La richiesta di trasferimento e la strategia di difesa
A questo proposito la difesa ieri ha anche proposto un trasferimento in una prigione nella contea di Essex, nel New Jersey, decisamente più tranquilla. Di sicuro nella giornata di ieri si è palesata la strategia della difesa, il percorso che proverà ad intraprendere per ridurre al minimo possibile la pena del rapper (un’assoluzione secondo gli esperti sarebbe altamente improbabile). In questo senso il rapper da tre Grammy rischia una condanna tra i 10 e i 20 anni, che arriverebbe anche all’ergastolo se non fosse che, fortunatamente, i reati dei quali è accusato, seppur gravi, non hanno scaturito decessi. Evidentemente Shapiro e Ricco hanno scelto di passare all’attacco, ieri infatti hanno accusato gli agenti del DHS (il Dipartimento per la Sicurezza Interna) di «cattiva condotta», richiedendo perfino un’udienza ad hoc per la faccenda. «L’imputato Sean Combs – si legge nella richiesta al giudice – chiede un risarcimento relativo a quella che la difesa ritiene essere stata una serie di fughe di notizie illegali da parte del governo, che hanno portato a una pubblicità pre-processuale dannosa e altamente pregiudizievole che può solo contaminare la giuria e privare il signor Combs del suo diritto a un giusto processo». Il riferimento naturalmente è al video della violenza (inequivocabile) subita nei corridoi di un hotel di Los Angeles dall’ex compagna di Diddy Cassie Ventura, diffuso dalla Cnn e per il quale il rapper ha pubblicamente chiesto scusa con un video. Nel frattempo in carcere Diddy è sorvegliato 24 ore su 24, si teme per la sua incolumità, si teme il suicidio, per giorni non ha mangiato ma, proprio alla vigilia del processo ha ricevuto il sostegno della famiglia. Prima una visita della madre con le sue figlie gemelle, una visita che una fonte ha rivelato essere stata assai emozionante, talmente emozionante da aver spinto la madre il giorno dopo a scrivere una straziante lettera nella quale implorava il mondo di aspettare a sentire la versione di suo figlio Sean prima di azzardare dei giudizi così spietati.
La rivelazione di Niykee Heaton che coinvolge Kanye West
La denuncia di Cassie Ventura, finita con un patteggiamento, ha rappresentato la prima tessera di un catastrofico e drammatico effetto domino per il rapper: sono letteralmente centinaia le denunce ricevute da Puff Daddy in merito a suoi atteggiamenti violenti e a suoi presunti abusi sessuali, in uno strettissimo lasso di tempo. Il processo è cominciato ma le storie continuano a venire fuori. L’ultima riguarda la cantautrice americana Niykee Heaton, che ha raccontato di una tentata violenza subita da Puff Daddy e Kanye West circa dieci anni fa, in uno studio di registrazione. «Dopo aver discusso argomenti di lavoro – racconta – hanno cominciato a dirmi che faceva caldo e che dovevo togliermi i vestiti. Mi urlavano “Dai! Siamo solo noi, siamo solo amici, vediamo come stai”. Ero confusa ma non ancora nel panico, perché c’erano altre persone. Per fortuna non ho bevuto quello che volevano offrirmi». Dalle parole ai fatti, anche piuttosto violenti: «Sono arrivati a strapparmi la t-shirt e sono rimasta quasi completamente senza nulla, bloccata con le spalle al muro. Questa è la parte che finché sarò viva non dimenticherò mai». A quel punto entra un terzo uomo, lei chiede aiuto urlando ma questo distoglie lo sguardo, e lei riesce a fuggire. «Per fortuna erano ubriachi marci» dice. Molti però in rete dubitano di questo racconto, soprattutto perché è notoria l’antipatia tra Puff Daddy e Kanye West, addirittura Ye in Carnival, avrebbe denunciato la condotta scorretta del collega. Inoltre su TikTok la pagina ufficiale di Niykee Heaton, dove il video è stato postato, è sparita, mentre sul profilo Instagram della cantante – 4,8 milioni i followers – di questo video non c’è traccia. Fatto piuttosto bizzarro.
La rivelazione di TMZ su Thalia Graves
A questo proposito, il sito di gossip e potere TMZ oggi propone uno scoop che potrebbe per la prima volta mettere in dubbio perlomeno parte della narrativa contro Puff Daddy. Thalia Graves, che a fine settembre si era mossa con una denuncia contro Combs e il capo della sua security per una violenza che sarebbe avvenuta nel 2001, nel novembre del 2023 avrebbe offerto all’ex fidanzato ben 3 milioni di dollari per corroborare la propria tesi contro il rapper, come si legge nei messaggi che TMZ dichiara di aver letto: «Perché è lui quello che ha i soldi». L’ex fidanzato dice di aver percepito il messaggio come una proposta di corruzione e, subito dopo, di aver cancellato il numero e bloccato Thalia Graves ovunque. Questa storia potrebbe risultare abbastanza importante nella drammaturgia di quello che si appresta a diventare uno dei più seguiti processi della storia degli Stati Uniti, perché secondo TMZ la difesa di Combs avrebbe già in mano questi messaggi e certamente non verranno riposti in un cassetto. La dichiarazione dell’ex fidanzato non ferma comunque la denuncia di Thalia Graves che, attraverso il suo legale Gloria Allred, dichiara di non vedere l’ora di presentarsi in tribunale. Tra l’altro, tirato in ballo da questa denuncia, l’ex responsabile della sicurezza di Diddy ha affermato di non aver mai incontrato Thalia Graves e che al momento della presunta aggressione lui non lavorava per il rapper.
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