«Alle volte devi fare delle cose che non vuoi fare», sarebbero queste le parole sussurrate da Sean Combs, in arte Puff Daddy, per gli amici Diddy, ad un bambino di 10 anni prima di costringerlo a praticargli del sesso orale. Un giudice federale ha imposto a funzionari e avvocati, specie per quanto riguarda la procedura penale nei confronti del rapper, di non parlare con i media, ma giornalmente dagli Stati Uniti, dove Diddy è incarcerato in attesa del processo che si svolgerà a maggio, emergono storie a dir poco inquietanti. Sono storie contenute nel fascicolo depositato in tribunale dall’avvocato Tony Buzbee, protagonista di una call to action dalla quale sono emerse ben 120 denunce contro Puff Daddy. Nell’ultima la violenza sarebbe avvenuta ai danni di un bambino di dieci anni, un bambino ambizioso giunto a Los Angeles con i propri genitori per lanciare la propria carriera nella musica.
La violenza
Durante il loro incontro Puff Daddy pone la più classica delle domande: «Cosa saresti disposto a fare per diventare una star?». Il bambino ingenuamente fornisce la più classica delle risposte: «Qualsiasi cosa». A quel punto, come si legge nella denuncia, che Sean Combs offre al bambino una soda corretta, comune denominatore di tutte le storie di violenza che vedono protagonista il rapper. Quando gli effetti della droga cominciano a farsi sentire, Puff Daddy afferra la testa del bambino portandosela verso il proprio basso ventre dicendogli «Alle volte devi fare delle cose che non vuoi fare». Il rapper dunque tira fuori dai pantaloni il pene e chiede al bambino di «baciarlo», «Quando il querelante resistette – si legge ancora negli atti – Combs gli infilò comunque il pene nella bocca e continuò a spingerlo dentro e fuori ripetutamente». Il bambino poi, per la paura e la tensione, sviene. Si risveglierà solo più tardi mezzo nudo e con «l’ano e i glutei doloranti». Diddy passa poi al classico copione del post stupro, anche questo sempre uguale: minacce alla vittima, altrimenti niente carriera musicale. In casi estremi, come questo, minacce anche alla famiglia, cosa che, secondo il racconto dell’avvocato, avrebbe fatto desistere i genitori a denunciare prima l’accaduto. Il bambino in questione uscirà devastato, com’è normale che sia, da quell’incontro, non solo quindi non farà carriera nella musica ma, come si legge nel deposito alla Corte Suprema di New York, «Combatte regolarmente paure e terrori notturni. È stato privato di un’infanzia normale e non è in grado di interagire con gli altri e di vivere una vita normale».
La violenza durante i casting di un talent
Una seconda storia riguardante atteggiamenti decisamente sconvenienti da parte di Puff Daddy è venuta fuori oggi. A denunciare stavolta un ragazzo che nel 2008, ai tempi della violenza subita, aveva 17 anni e stava affrontando i casting per Making the Band, talent prodotto da Sean Combs. Casting particolari a quanto pare, infatti durante un colloquio privato Puff Daddy, come si legge sempre nei documenti depositati in tribunale, gli fece «domande ipotetiche sulla gestione di situazioni che implicavano pressione sessuale», poi «ha iniziato ad aggredire sessualmente il querelante toccandolo sia sopra che sotto i vestiti, palpeggiando e palpeggiandogli il pene e intimandogli di spogliarsi». Nel frattempo Combs, altro ritornello già sentito, ricordava al giovane la propria capacità di «creare o distruggere» una carriera. Va molto peggio al secondo giorno di audizioni, Combs «per dimostrare la capacità di incarnare la personalità di un “idolo del sesso”» prima costringe il ragazzo a praticargli del sesso orale e poi pratica violenza sessuale. Il terzo giorno di audizioni all’incontro con Puff Daddy si presenta anche la sua guardia del corpo, i due aggrediscono sessualmente l’allora 17enne, che poi viene eliminato dal programma perché, come si legge ancora nella denuncia, «Combs ha sostenuto che il querelante non era affidabile a causa delle sue riserve sul praticare sesso orale alla sua guardia del corpo».
Il commento degli avvocati
Gli avvocati di Puff Daddy tornano ad essere chiamati in causa per un commento: «Come abbiamo già detto – scrivono alla CNN – il signor Combs non può rispondere a ogni nuova trovata pubblicitaria, nemmeno in risposta ad affermazioni che sono palesemente ridicole o dimostrabilmente false. Il signor Combs e il suo team legale hanno piena fiducia nei fatti e nell’integrità del processo giudiziario. In tribunale, la verità prevarrà: il signor Combs non ha mai aggredito sessualmente o trafficato nessuno, uomo o donna, adulto o minore».
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